In ricordo di Anitya, a un mese dalla sua scomparsa

Patrizia Lusoli, Anitya, un mese fa ci ha lasciate, e noi donne di Nondasola vorremmo raccontarla perché la narrazione faccia risaltare il filo che ci lega, che la lega alla nostra storia. Anitya ha manifestato nella sua vita un legame profondo con il mondo delle donne. Già prima di conoscerci animava con il suo pensiero un gruppo di compagne intorno ai temi femminili. Nei primi anni del duemila si offrì di fare da babysitter a una bambina figlia di una ospite alla Casa delle donne e da lì cominciamo a tessere il filo della storia comune. L’anno successivo partecipò alla formazione per nuove volontarie e da volontaria cominciò il suo attivismo presso l’Associazione Nondasola e la Casa delle donne. Continuò il suo impegno come operatrice nell’Accoglienza delle donne maltrattate con le quali costruiva relazioni di vicinanza e di sostegno. 

Le sue parole avevano il garbo della comprensione, perché sapeva ascoltare mossa dal desiderio della scoperta dell’altra da sé e dalla consapevolezza di cosa significa ‘essere in relazione’.

“L’interesse, la curiosità discreta nei confronti della vita di una di noi, la vicinanza che manifestiamo, la gratitudine per essere testimoni di una presa di parola sofferta e coraggiosa permea l’inizio di una relazione e getta le basi per un patto di fiducia che speriamo possa rinsaldarsi via via”, queste le parole di una donna appassionata, una socia partecipe e attiva, sempre aperta a nuove visioni.  

Lontana da verità astratte o ideologiche, preferiva interrogarsi a partire dal proprio sentire, nella fedeltà a sé.  
Mai avara di coinvolgimenti s’impegnò insieme al gruppo di lavoro per la stesura del testo “Dal silenzio alla parola. La violenza sofferta e il desiderio di fermarla”, pubblicato nel 2012, che ripercorre i primi 12 anni di attività della Casa delle Donne.
Accolse e mantenne per diversi anni l’incarico di responsabile dell’Accoglienza, riuscendo a coltivare buoni rapporti con le assistenti sociali e le altre agenzie del territorio e a relazionarsi alla sua equipe con tatto, riguardo e attenzione per tutte. Anitya riservava a bambine e bambini uno sguardo tenero e premuroso e la sua preoccupazione per la violenza assistita si è tradotta in attivazione personale e partecipazione a laboratori per accompagnare madri e figl* in percorsi di riscoperta delle risorse che la violenza subita o assistita ha sopito ma non cancellato.

Le tante tracce di vita e di impegno appassionato che ci ha lasciato continuiamo a ritrovarle tra le pieghe del nostro quotidiano, come le giovani operatrici, che al suo fianco hanno imparato la responsabilità dell’accogliere le donne violate, la sentono ancora vicina e la pensano con amorevole gratitudine.

Anitya ci consegna una eredità di esperienza umana e culturale che diventa oggi un invito a tutte noi a continuare, dedicando tempo e spazio alla cura delle relazioni.

Nessuno ci risarcirà della sua perdita ma ognuna di noi, in particolare chi ha avuto il piacere di frequentarla e di lavorare con lei, porterà con sé un po’ della sua ‘intensa leggerezza’ che ritroviamo in questi versi:

Io voglio invece leggerezza, libertà, comprensione - non trattenere nessuno, e che nessuno mi trattenga. Tutta la mia vita è una storia d'amore con la mia anima, con la città in cui vivo, con l'albero al bordo della strada, - con l'aria.
E sono infinitamente felice. 
(Marina Cvetaeva)

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