Quattro madri

Pubblichiamo una riflessione di Nondasola a proposito dei femminicidi di Sara Campanella e Ilaria Sula.

Il femminicidio di Giulia Cecchettin di circa 2 anni fa ha occupato per lungo tempo media e social, andando oltre letture stereotipate che scavano nella vita della ragazza in modo pruriginoso e colpevolizzante e continuano a considerare l’omicida un bravo ragazzo. Questa volta il padre e la sorella, con grande forza d’animo e lucidità, hanno cercato di porsi delle domande sul perché fosse accaduto, promuovendo una analisi collettiva che è andata al di là del caso singolo.
La riflessione ha allargato la responsabilità del femminicidio, responsabilità che sappiamo essere pur sempre una scelta individuale, in qualche modo legittimata da un sistema culturale di ordine ancora patriarcale, contro il quale le donne hanno lottato negli ultimi decenni dello scorso secolo – cancellando leggi misogine e aprendo nuove strade ai diritti delle donne. Oggi nel 2025 il patriarcato, che per tanti risulta essere una parola antica, desueta e dimenticata, mantiene purtroppo il suo vigore. Il dibattito allargato che nel 2023 ne nacque fece sì che il 25 novembre di quell’anno, cinquecentomila persone sfilassero a Roma e in tante in altre città, “facendo tanto rumore”.
Abbiamo allora sperato che i numeri dei femminicidi potessero evidenziare una svolta, ma così non è stato, nonostante qualcosa si stia muovendo a partire da alcuni maschi la cui voce è ancora troppo debole e incerta per incidere su un potere maschile innervato in ogni fibra del tessuto sociale e che nella relazione con il femminile di fronte a un rifiuto, non ha altro pensiero che quello di “eliminare il problema”. Il gruppo scuola di Nondasola è presente nelle scuole e in altri spazi giovanili per incoraggiare scambi e riflessioni tra ragazzi e ragazze, per promuovere riflessioni a partire dalle esperienze personali e ascoltare le loro paure, i loro desideri, le ansie e gli slanci per coltivare un’idea di libertà di cui loro possono essere agenti attivi.
La realtà ancora una volta ci riporta a un copione già visto.
Sono di questi giorni i femminicidi di Sara e Ilaria. La storia è sempre la stessa, lei che vuole porre fine a una relazione che non la fa stare bene, lui che non vuole accettare un no, lui che si sente ferito nel suo orgoglio di maschio, perché sta perdendo in modo per lui insostenibile il possesso del corpo e della vita di lei.
Ma qualcosa in più è successo: una madre ha aiutato il figlio a nascondere le prove, lavando i segni del sangue della ragazza e l’altra madre, intervistata, continua a dire che suo figlio è un bravo ragazzo, con un tono che vorrebbe convincerci e muoverci a pietà per il figlio che per quattro giorni non ha mangiato. Non una parola, per ora, sul senso di gravità di quello che è successo. Certo è difficile accettare che il proprio figlio, al quale hai dato la vita, diventi un femminicida. In questo scenario di violenza ci sono altre due madri alle quali è stata uccisa la figlia. Due giovani vite che sono state interrotte brutalmente e per le quali le madri potranno solo piangere perché tutto per loro è finito. Il dolore di una madre potrebbe riflettersi nel dolore dell’altra, se pur da posizioni diverse? Questione molto delicata che tuttavia ci ha sollecitato a scriverne.
Perché l’atteggiamento di queste madri ci fa riflettere su quanto il patriarcato sia incistato nelle nostre vite di donne. È con estremo rispetto del dolore di ognuna che ribadiamo quanto ogni passo che facciamo, ogni parola che diciamo porti con sé una grande responsabilità che può aprire o non aprire la strada al cambiamento per una vita lontana dalla violenza.
In questi giorni abbiamo anche ascoltato parole incredibili da parte di un magistrato: il femicida Filippo Turetta ha sferrato 75 coltellate perché inesperto e ha ferito l’occhio di Giulia, non per deturparne il viso ma inconsapevolmente. Una sentenza che, come dice Elena, la sorella di Giulia, “è pericolosa in quanto segna un precedente terribile. Sì, fa la differenza riconoscere le aggravanti ad esempio per lo stalking perché vuol dire che la violenza di genere non è presente solo dove è presente il coltello o il pugno. Ma molto prima. E ciò significa che abbiamo tempo per prevenire gli esiti peggiori. E se domani un’altra persona si sentirà autorizzata ad accoltellare un’altra persona 75 volte…dobbiamo sentirci responsabili di averlo fatto accadere.”

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Ci eravamo detti che tutto sarebbe cambiato: il comunicato stampa di Nondasola