Sul femicidio di Tiziana Gatti: abbiamo bisogno di una narrazione radicalmente diversa
Il Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna sul femicidio di Reggio Emilia
La mattina del 21 marzo, a Castelnovo Sotto, si è consumato il femicidio di Tiziana Gatti, 62 anni. Ad uccidere la donna è stato il compagno della figlia, 36 anni. Come Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna, vogliamo esprimere il nostro dolore e la nostra rabbia di fronte a questa violenza, e la nostra solidarietà e vicinanza alla figlia, al compagno e ai nipoti della vittima.
Apprendiamo dai giornali che il motivo della violenza sembrerebbe essere la conflittualità tra il genero e la suocera, o il fatto che quest’ultima “avrebbe più volte messo in chiaro la cruda verità sul fatto che il rapporto con la figlia fosse ormai terminato” (La Stampa). Ma questa narrazione della violenza presenta diverse problematicità.
In primo luogo, il focus posto dai giornali sulla ricerca di un movente e di una causa scatenante impedisce di riconoscere la violenza per quello che è, ovvero un femicidio. In mancanza di un riconoscimento esplicito della violenza come sistemica, questo tipo di narrazione corre il rischio di giustificare la violenza, come se fosse accettabile che l’insoddisfazione rispetto al proprio rapporto con un* partner o una lite familiare possano concludersi con un omicidio. È vero che la famiglia e la coppia sono spesso il teatro della violenza sulle donne. Ad agire violenza sulle donne è quasi sempre il partner, l’ex partner o un familiare. Ma questa violenza è il prodotto della società in cui viviamo, di un’asimmetria di rapporti basata sul genere, ed è fondamentale riconoscerla per quello che è: un problema sistemico e strutturale.
Infine, riscontriamo l’assenza di un riconoscimento della seconda violenza agita dall’uomo: come Coordinamento dei Centri antiviolenza, sappiamo che non è raro che uomini violenti e maltrattanti usino violenza sulle figlie e i figli della donna o su altre persone a lei vicine. Questa violenza è anche una violenza nei confronti della donna stessa, poiché genera dolore e senso di colpa. Ma vi è una sola persona responsabile di questa violenza, ed è l’uomo che l’ha agita.
Abbiamo bisogno di una narrazione della violenza radicalmente diversa. Abbiamo bisogno che si parli di violenza in termini sistemici, e abbiamo bisogno che si parli di violenza assistita. Uno studio pubblicato di recente ha mostrato la correlazione tra la copertura mediatica dei femicidi e le richieste d’aiuto, individuando un picco delle richieste in seguito a notizie di femicidio nella provincia di riferimento. Un dato che ci conferma che notizie come questa raggiungono anche persone in situazione di pericolo perché subiscono violenza. Per questo, piuttosto che legittimare la violenza cercando un movente inesistente, sarebbe fondamentale che ogni notizia venisse accompagnata da riferimenti ai Centri antiviolenza e ai canali di accesso a percorsi di fuoriuscita dalla violenza.
Di fronte a questa notizia, per noi è fondamentale ribadire che è sempre possibile rivolgersi ai Centri del coordinamento, senza obbligo di denuncia. Di fronte alla violenza di questo femicidio assistito, abbiamo bisogno di chiarire, ancora una volta, che la violenza assistita è violenza, e che chi assiste a situazioni di violenza può sempre rivolgersi ai Centri per chiedere aiuto e supporto.