Calcio e cultura dello stupro: un articolo di Lorenzo Gasparrini
Volentieri segnaliamo l’articolo scritto da Lorenzo Gasparrini, scrittore, filosofo e attivista femminista, per la newsletter di thePeriod, media femminista italiano.
È il pomeriggio del 16 settembre scorso, e Nicola Zanarini, giornalista professionista, sta svolgendo il suo lavoro: la radiocronaca della partita di calcio Reggiana-Cremonese. Al 23esimo minuto del primo tempo, Zanarini dice queste parole:
“Un gol meraviglioso, il primo di Manolo Portanova, l’uomo più discusso dall’inizio della stagione a Reggio Emilia, che ha spaccato la tifoseria con la sua condanna in primo grado per stupro. Non lo volevano in tanti, soprattutto le tifose della Reggiana e invece gli ultrà lo volevano eccome, ed è andato a festeggiare proprio sotto la curva granata il suo primo gol in campionato … Un gol davvero meraviglioso che mette a tacere le polemiche anche se poi ricordiamo che tra qualche mese ci sarà l’appello del processo a Firenze per stupro di gruppo. Ma torniamo allo sport”.
In campo, è successo che Manolo Portanova, giocatore della Reggiana condannato a sei anni di reclusione in primo grado dal Tribunale di Firenze per stupro di gruppo, ha segnato un gol.
Abbiamo quindi intrecciate insieme le storie di due professionisti: uno del calcio, che svolge regolarmente il suo lavoro di professionista contrattualizzato dopo una condanna penale in primo grado per stupro di gruppo, e un altro professionista - del giornalismo - che intreccia la storia sportiva, personale e giudiziaria di un altro professionista in un modo che secondo lui “mette a tacere le polemiche”. Poniamoci qualche domanda.
Se Portanova fosse stato un professionista di altro settore con una condanna penale in primo grado per reati che possono prevedere una condanna simile a quella per stupro di gruppo (lesioni personali gravi, rissa con omicidio, omicidio colposo, omettendo norme per la sicurezza sul lavoro o per aver esercitato una professione senza l’abilitazione richiesta, sequestro di persona, maltrattamenti in famiglia, violazione di domicilio armata) voi lo avreste messo sotto contratto per la vostra azienda? Probabilmente no.
Invece se fai il calciatore professionista e sei condannato in primo grado per stupro di gruppo, sì. Se un giornalista dovesse commentare un qualsiasi professionista che viene messo sotto contratto da un’azienda malgrado una condanna in primo grado per uno di quei reati, lo avrebbe detto - di fronte a un successo ottenuto al lavoro - che quel successo, “mette a tacere le polemiche”? Probabilmente no.
Invece se fai il calciatore professionista e sei condannato in primo grado per stupro di gruppo, il giornalista lo dice, sì. Poi si scusa. Ecco: il clima di ignoranza diffusa e violenza non consapevole che permette queste cose si chiama appunto “cultura dello stupro”. Che non vuol dire quindi, come ancora sostengono molte persone ignoranti, che tutti gli uomini sono stupratori.
Vuol dire che lo stupro, tutto sommato, è una cosa di scarsa importanza sociale. Moltǝ ancora si chiedono cos’è la cultura dello stupro; oppure reagiscono stizzitǝ quando sentono e leggono questa espressione, come si nominasse appositamente qualcosa di orrendo e di accusatorio ma falso e artefatto. Invece, l’unica cosa falsa e artefatta è l’indifferenza che l’intera società italiana sta mostrando di fronte a una cultura dello stupro che ogni giorno si dimostra diffusa, presente, tranquillamente accettata dalla maggior parte delle persone.
Infatti se un’associazione del territorio organizza una giornata aperta alla comunità per spiegare la gravità sociale di quello che sta accadendo, succede che la società calcistica mette la persona condannata in primo grado sotto contratto e organizza, per quello stesso giorno e nelle stesse ore, un evento di autocelebrazione, in modo che il lavoro dell’associazione passi inosservato, silenziato, ignorato. Questo sarebbe inaccettabile da qualsiasi comunità, per qualsiasi associazione, in qualsiasi territorio, da parte di qualsiasi azienda.
Ma se sei la Reggiana Calcio invece no. Va tutto bene, perché nella cultura dello stupro, lo stupro non è un argomento di cui parlare pubblicamente.
Quindi abbiamo tifosi che inneggiano a un condannato in primo grado a sei anni, ragazzi che vanno in giro con la maglietta col nome di un condannato in primo grado a sei anni, una comunità che urlerà gioendo il nome di un condannato in primo grado a sei anni. Non importa che sia stato riconosciuto colpevole da un tribunale di uno dei reati più disumani che si possano concepire: la cultura dello stupro dice che non è importante.
Perché la possibilità di parlare - come comunità - dei che danni fa un singolo stupro a tutta la società, è quasi impossibile. Ma urlare felici il nome di uno stupratore, invece, sì, è possibilissimo.
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