Come Nondasola siamo a denunciare un massacro
Pubblichiamo il comunicato stampa che Nondasola ha inviato alla stampa locale il 22/10/24 riflettendo sugli ultimi femminicidi.
Come NONDASOLA siamo a denunciare un massacro
Massacro di donne che hanno un nome, un lavoro, degli affetti e degli amori, dei sogni e voglia di vivere e di autodeterminarsi.
I femminicidi sono dolori privati e al contempo lacerazioni che smagliano il tessuto di una società, una vera tragedia a cui non sappiamo e non vogliamo rispondere se pensiamo che basti un braccialetto elettronico per tenere a bada la rabbia di un uomo che non può più controllare la partner e che perciò sceglie di uccidere.
Celeste Palmieri, 56 anni, è l’ultima vittima di femminicidio, ultima ancora per poco, considerando il dato di una donna uccisa ogni due giorni e mezzo. È stata uccisa dal marito, Mario Furio, nonostante fosse stato attivato un divieto di avvicinamento e il braccialetto elettronico, perché all’inizio dell’anno aveva subito un’aggressione con il coltello. La donna si era rivolta a un Centro antiviolenza e lo aveva denunciato più volte. Aveva deciso di non essere ospitata dal Centro per non cambiare le abitudini e il contesto sociale dei figli/figlie minorenni ma viveva nel terrore di incrociarlo. Nelle stesse ore anche un’altra donna di 56 anni, Camelia Ion, è stata uccisa dall'ex compagno già indagato in passato per stalking proprio nei confronti della donna e per questo sottoposto al divieto di avvicinamento e al braccialetto elettronico.
Il racconto privatissimo diventa un portato politico della nostra società e ci fa vedere chiaramente come non è nella misure di protezione (il braccialetto non ha funzionato) che occorre cercare la radice del problema.
Sappiamo – e da anni come Nondasola lo andiamo ripetendo in programmi di prevenzione ed eventi di sensibilizzazione – che non c’è campo del sapere e dell’agire quotidiano che non siano fortemente condizionati da una visione patriarcale del rapporto tra i sessi, dove la disparità effettiva di potere si misura in modo tragico ma evidentissimo nell’impedire a una donna con la violenza di vivere la propria dimensione di libertà e di scelta, costringendola a un percorso ad ostacoli che fiaccherebbe chiunque e che spesso la porta alla morte.
Le donne che noi incontriamo alla Casa delle donne lo sanno, sanno che per uscire dal labirinto mortifero del controllo e della prevaricazione maschile mettono ulteriormente a repentaglio la propria sicurezza e spesso la propria vita.
È un massacro dove, come nelle guerre sono sempre gli uomini in prima fila, e noi rischiamo di assuefarci. Anche in questo contesto, ci sono figlie e figlie orfani, non solo di una madre e di un padre che magari è in prigione, ma di una infanzia o di una adolescenza, perché vittime di violenza assistita che lascia traumi, anche se tanti e tante trovano poi le risorse per dare una direzione più serena alla propria vita.
Siamo partigiane e resistenti in questa lotta quotidiana, donne a fianco di altre donne e di uomini, ancora troppo pochi, che non eludono le proprie responsabilità, e di nuovo chiamiamo a una responsabilità collettiva affinché si creino spazio e energia per coltivare relazioni sane, per ricucire una realtà slabbrata carica di violenza. Tra un mese sarà il 25 novembre e non vorremmo ritrovarci travolte in tanto rumore per nulla, lo abbiamo già vissuto in questo anno dopo essere tutti e tutte scese in piazza con rabbia e indignazione per Giulia Cecchettin.