Dopo il 25 novembre: il comunicato stampa di Nondasola
Cosa succede quando si spengono le luci? Dopo aver condiviso con intensa partecipazione la carica emotiva che il 25 Novembre ha mobilitato tanti uomini e tante donne contro la violenza maschile sulle donne, ora il rischio che sentiamo è che si torni alla vita cosiddetta ’normale’, di tutti i giorni, la stessa all’interno della quale si produce la cultura dello stupro. Il rischio insomma è che ci si faccia bastare la scelta di ‘schierarci’.
Perché schierarsi e basta è un po’ come strappare la realtà in due parti e scegliere di vederne soltanto una, eppure l’altra parte di realtà continua a esistere e a uccidere.
Ci siamo esposte/i con i nostri corpi differenti, abbiamo gridato per il cambiamento, siamo quelli e quelle che piangono i tanti corpi di figlie, sorelle, madri, di donne giovani e meno giovani controllati e violati, ma quanto riusciamo a vedere che, proprio a partire dalla materialità dei nostri corpi che agiscono e si muovono sulla scena del mondo, potrebbe partire un cambiamento del rapporto tra i sessi che non si accontenta del ‘politicamente corretto’?
Tutte le piazze piene, 500.000 solo a Roma, sono un urlo che ha attraversato il nostro paese, ma ogni uomo che ha partecipato, tornando a casa dovrà essere consapevole che nulla sarà più come prima! Nelle parole, nei gesti, nell'ascolto delle persone che gli stanno vicine o nei racconti ascoltati al bar. Non dovrà essere più sopportabile qualsiasi gesto o parola che sottragga libertà a una donna! Perché quella libertà che le donne hanno conquistato a partire dai loro corpi e dai loro desideri dovrà essere riconosciuta. Solo così si potrà dare forza, senso e continuità a quelle piazze.
Non basta nemmeno aumentare le pene per i maltrattanti e distribuire, proprio nella data del 25, il reddito di libertà per le donne in uscita da percorsi di violenza.
Generare processi di trasformazione significa uscire da logiche celebrative e propagandistiche, da scontri femmine contro maschi e scegliere di giocarsi in prima persona perché altrimenti l’idea di una etica collettiva che condanna la violenza sembra esonerare il singolo.
Negli incontri da noi promossi sulla cultura dello stupro, a partire dalle scelte fatte dalla Reggiana ne abbiamo ascoltate di voci maschili.
Abbiamo trovato conferma di un malessere che alcuni riconoscono e che altri vivono senza chiedersene il senso e abbiamo anche intuito un desiderio di cambiamento che ci auguriamo possa trovare una traduzione in pratiche ed esperienze maschili visibili e riconoscibili. Non sarà facile, ma necessario, mettere il proprio corpo di traverso al passato, non essere più complici.
Non sarà facile per gli uomini mettersi in pari con Gino Cecchettin, che ha trasformato il personale in politico, confermando con una esperienza tremenda ciò che noi femministe abbiamo detto, inascoltate, per decenni: tutto ciò che facciamo, agiamo, subiamo, è personale ma anche politico. Riguarda noi, ma non è solo affar nostro. Ciò che ne facciamo influisce su tutte e tutti gli altri.
Mettiamo a disposizione la nostra fiducia perché immaginiamo che esporsi a questo cambiamento non sia facile, visto che il contesto sociale è ancora dominato da modelli relazionali e sessuali maschilisti, controllanti, violenti. Siamo fiduciose, e intanto non rinunciamo a un millimetro della libertà che già siamo riuscite a conquistare.