Il Centro antiviolenza invita il tifo granata - La cultura dello stupro
Pubblichiamo il quarto comunicato che Nondasola ha inviato alla stampa locale, facendo seguito a quelli del 9, 18 e 24 agosto.
“Mi fa stare male quando una donna o una ragazza sconosciuta cambia marciapiede se ci incrociamo di notte” ci dice Michele, 18 anni. “Io non voglio aggredire nessuno!”.
Michele ha ragione, sentirsi guardato come un predatore solo perché maschio è umiliante. Ma vivere da possibile preda è anche peggio: donne e ragazze si sono tristemente abituate a una continua privazione della libertà individuale a causa della paura. E, come ci ricorda la studiosa e attivista americana Liz Kelly “passano molta parte del loro tempo a difendersi dallo sguardo maschile e dalla cultura dello stupro.”
Il 70% delle donne italiane infatti (dati Consiglio d’Europa) si sentono esposte al pericolo di subire una violenza sessuale e modificano i propri comportamenti allo scopo di ridurre questo rischio.
Inconsciamente facciamo come gazzelle nella savana, eppure non viviamo nel deserto del Lesotho ma in uno stato di diritto che in linea di principio difende la nostra incolumità.
Ma la paura che il proprio corpo venga brutalmente trasformato in un oggetto non dipende solo dalla cronaca quotidiana che ci presenta puntuali episodi della guerra contro le donne. La cultura dello stupro è molto più estesa e funziona come un iceberg: le forme più estreme e violente sono le più rare, ma a renderle possibili è l’enorme base culturale di comportamenti legali o comunque socialmente accettati. Per i ‘pochi’ che commettono uno stupro (punta dell’iceberg) ci sono i molti e le molte (base dell’iceberg) che minimizzano la violenza o danno la responsabilità alla vittima.
Ancora più diffusi i comportamenti ‘goliardici’: per un tifoso che palpeggia una giornalista sportiva in diretta tv, i molti che le dicono: ‘non prendertela, cosa vuoi che sia’.
Per un responsabile che ha l’idea di esporre una donna come fosse cibo in un buffet, tutte e tutti quelle/i che sghignazzano. O peggio fanno finta di niente. Per un ragazzo che diffonde foto intime della sua ex (di solito per punirla di essere stato lasciato), quelli e quelle che a loro volta le inviano, nell’idea che sono divertenti e ‘comunque lei non doveva spedirgliele’. Per un incipit o un titolo di un/una giornalista dove si insinua che lei deve farsi carico di non subire violenza e di evitare atteggiamenti provocatori, il consenso istintivo di tanti e tante. Per un video su una violenza sessuale, tutti quelli che cercano in rete quel video come fosse un film porno. Forse perché i film porno, unica forma di educazione sessuale per molti maschi, non sono poi molto diversi.
Ci piace l’idea che nella nostra città si continui a costruire una cultura delle relazioni che faccia da antidoto a questa cultura dello stupro. La questione che da settimane ci preoccupa nelle scelte di campo della Reggiana può essere un buon punto di partenza per dialogare e immaginare un percorso che vorremmo inclusivo e che sarebbe bello coinvolgesse anche tifosi e tifose. Per questo abbiamo deciso di aprire la nostra sede (in Via Spani 12/1 Reggio Emilia) Lunedì 18 settembre ore 21 per un incontro aperto a tutti e tutte.