Il Senato boccia la parità di genere nelle comunicazioni istituzionali: un’altra mancata occasione di nominare le donne e rendere il linguaggio inclusivo
Il 27 luglio il Senato ha respinto la proposta che puntava a introdurre nel regolamento di Palazzo Madama “l’utilizzo di un linguaggio inclusivo“. L’emendamento, presentato dalla senatrice M5s Alessandra Maiorino, chiedeva infatti la possibilità di adottare la differenza di genere nella comunicazione istituzionale scritta. Ha ricevuto 152 voti favorevoli, 60 contrari e 16 astenuti: i sì non stati però sufficienti a raggiungere la maggioranza assoluta necessaria per questa votazione.
Segnaliamo l’articolo de Il fatto quotidiano che ne riporta la notizia.
Come si legge nell’articolo, “la proposta Maiorino prevedeva che il Consiglio di presidenza stabilisse “i criteri generali affinché nella comunicazione istituzionale e nell’attività dell’amministrazione sia assicurato il rispetto della distinzione di genere nel linguaggio attraverso l’adozione di formule e terminologie che prevedano la presenza di ambedue i generi attraverso le relative distinzioni morfologiche, ovvero evitando l’utilizzo di un unico genere nell’identificazione di funzioni e ruoli, nel rispetto del principio della parità tra uomini e donne“. Inoltre le proposte di adeguamento del testo sarebbero passate al vaglio della Giunta per il regolamento. […] Su quanto avvenuto è intervenuta anche la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti. “Pur nel rispetto che il governo deve al Parlamento, segnalo che è grave quel che è accaduto oggi in Senato: l’ennesimo esempio di come ci si riesca a sottrarre a comuni responsabilità verso il Paese pensando che le cittadine e i cittadini non vedano e non sappiano mai”, si legge in una nota. […] Laura Boldrini, deputata Pd, sostiene che la destra “vuole cancellare i traguardi delle donne, usando anche il linguaggio”.
La sconfitta che questo risultato rappresenta è solo una delle numerose mancate occasioni di rendere il linguaggio inclusivo, di valorizzare i traquardi delle donne, di superare l’esclusione delle donne dalla storia e dalla sua narrazione ufficiale. Sanare il disequilibrio di genere significa anche nominare le donne, femminilizzare lo spazio pubblico. Viene in mente , tra le altre numerose mancate occasioni, il gender gap toponomastico, l’invisibilità delle donne nei nomi delle strade, delle piazze, dei monumenti delle nostre città. Come spiega Mapping Diversity, «la preponderanza di figure maschili nelle nostre strade non è solo testimonianza di un fatto storico e culturale, ma è allo stesso tempo una forza, subliminale ma costante, che contribuisce a perpetrare la marginalizzazione del contributo femminile». I nomi delle strade «non sono innocui elementi urbani», ma «hanno un forte potere simbolico, sono stati e continuano a essere frutto di processi decisionali legati alla legittimazione del passato, e alla costruzione della memoria storica collettiva su quel passato». Segnaliamo a riguardo un articolo pubblicato su Il Post del 19 settembre 2021.
Foto tratte dall’iniziativa sulla toponamastica femminile organizzata l’8 marzo 2017 dall’Associazione Nondasola insieme a Non Una Di Meno - Reggio Emilia