La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima (Elie Wiesel)

Volentieri segnaliamo questo articolo, a firma di Germana Corradini, Dirigente dei Servizi Sociali del Comune di Reggio Emilia, a seguito dell’infanticidio di Varese e della vittimizzazione secondaria subita dalla madre.

“Secondo i magistrati l’accusa di tentato omicidio non intaccava il diritto del 40enne di vedere e crescere il figlio.”

Riportano questo, i giornali, parlando dell’omicidio del piccolo di Varese.

Affronto ormai quotidianamente questioni che sembrano voler trovare compromessi tra l’essere un uomo violento, ma al contempo un buon padre di famiglia. E dopo il lungo elenco di femminicidi di questo anno appena passato, la frustrazione cresce ancora ed ancora. Talvolta monta in rabbia, talvolta si trasforma in energia che tenta ancora una volta di individuare nuovi strumenti per poter costruire un dialogo tra avvocati, magistratura e con operatori socio- sanitari che spesso fanno prevalere, o almeno così pare, il diritto di visita del padre sul pregiudizio per il bambino e per la madre.

Il diritto del bambino ad essere protetto da un padre violento troppo spesso è subordinato al diritto alla bigenitorialità. “È importante che il bambino faccia i conti col padre reale piuttosto che costruirsi fantasie che possano motivare la sua assenza”.

Come non concordare con tale assunto? Questo però spesso motiva il protrarsi di incontri protetti per anni…

E penso a quei bambini, alla fatica emotiva di incontrare, in presenza di operatori spesso estranei, quel padre che troppe volte ha usato violenza contro la madre. Se poi questo padre non solo non riconosce di aver usato violenza, ma continua, nel tempo, a sottrarsi alla responsabilità di quei comportamenti giustificandosi, attribuendo colpe ad altri, ha davvero diritto a vedere/crescere suo figlio?

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Ciao Anitya. Il saluto di Nondasola alla compagna Anitya Lusoli

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Varese, l’ennesimo padre violento che ha tolto la vita a suo figlio