Su una fraternità maschile che minimizza la violenza alle donne: il comunicato stampa di Nondasola
Pubblichiamo il comunicato stampa che Nondasola ha inviato alla stampa locale a proposito di una recente intervista a Sergio Rubini sul caso Depardieu e di altri episodi di minimizzazione e normalizzazione della violenza maschile sulle donne.
È uscita in questi giorni un’intervista a Sergio Rubini sul Corriere della Sera a firma di Valerio Cappelli e Aldo Cazzullo. Dopo l’intervista a Mimmo Calopresti c’è un altro uomo che si dice certo dell’innocenza di Depardieu.
Se crediamo all’innocenza dell’uno stiamo dicendo implicitamente che non crediamo alle donne che lo accusano.
Sergio Rubini dice: “Gérard può mettere in imbarazzo, è volgare ma in senso mozartiano, come Mozart quando diceva cacca-cacca.” Le donne si confondono insomma, e non sanno distinguere l’imbarazzo in cui vengono messe, lo scambiano per molestie o violenze sessuali. Rubini continua: “Non è l’attore che in accappatoio aspetta l’attrice in camerino, non è un orco, è dolce e fragile.” Perché si sa, solo questa è violenza sessuale.
Ciò vuol dire che le donne che hanno parlato non solo non sono state credute, non sono proprio state ascoltate.
Poi arriva il gran finale “Secondo me è più preda delle donne che predatore”.
Un parere, certo coerente con le precedenti affermazioni, che confuta ancora una volta la disparità di potere alla base della violenza maschile e costruisce uno sguardo indulgente e complice verso chi di quel potere ne ha abusato. È la percezione del maschile che conta, quella delle donne – si sa – è volubile, esagerata, inaffidabile.
Così come leggiamo il 27 luglio che un medico in servizio all'ospedale di Santa Maria Nuova di Reggio Emilia è stato sospeso per 15 giorni, dopo una denuncia di molestie da parte di una giovane specializzanda. Il dottore inviava insistenti messaggi alla specializzanda e le rivolgeva parole e gesti diventate vere e proprie molestie finché la giovane non ha deciso di inoltrare un esposto alla direzione dell'Azienda Usl che ha aperto un provvedimento disciplinare a carico del medico. L'uomo si è difeso facendo appello al suo percepito per cui il suo modo di porsi era frutto di un atteggiamento scherzoso e asserisce di non aver mai oltrepassato una certa soglia: la violenza viene minimizzata, normalizzata.
Persino il papà di Filippo Turetta cerca di rassicurare suo figlio e sé stesso normalizzando e minimizzando: leggiamo le frasi, intercettate dalle microspie degli investigatori nella sala dei colloqui: “Eh va beh, hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, non sei uno che ammazza le persone, hai avuto un momento di debolezza... Quello è! Non sei un terrorista, voglio dire... Devi farti forza. Non sei l’unico... Ci sono stati parecchi altri... Però ti devi laureare”. Al di là della relazione tra un padre e un figlio in circostanze tremende, resta il fatto che a quell’immaginario il signor Turetta ha potuto attingere perché quell’immaginario esiste.
Nel frattempo, la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna all’ergastolo per Antonio De Pace, l’infermiere calabrese reo confesso del femminicidio della fidanzata Lorena Quaranta, studentessa di medicina originaria dell’Agrigentino. Per la Corte, i giudici non hanno valutato le attenuanti generiche date dal contesto in cui è avvenuto il delitto: il femminicidio si verificò nella prima fase della pandemia di Covid-19. L’emergenza e le restrizioni, dice la sentenza, avrebbero inciso sull’animo dell’infermiere. Ricordiamo che Lorenza fu strangolata dal fidanzato. Se la violenza viene minimizzata in condizioni normali, insomma, figuriamoci in circostanze straordinarie.
“Secondo noi”, quando si tratta di violenza alle donne, scatta una fraternità maschile che fa trasparire quanto certi comportamenti siano, in fondo, condivisi.
A quando l’intervista ad un uomo che, senza scomodare Mozart, riesca a leggere il sessismo insito in ogni parola e argomentazione a difesa, fuori e dentro i tribunali? E, ricordando le parole di Gino Cecchettin, ne prenda le distanze?