Paola Di Nicola “E’ vietato per legge colpevolizzare le donne che denunciano la violenza”

Volentieri pubblichiamo l’intervista alla giudice e consigliera di Cassazione Paola Di Nicola, rilasciata a Repubblica il 9 luglio scorso, a partire dal caso di Leonardo Apache La Russa, accusato di stupro ai danni di una ragazza poco più che ventenne. Da anni i centri antiviolenza, insieme a professionisti/e esperti/e in materia, denunciano meccanismi e modalità con cui si gettano dubbi e discredito sulle donne che subiscono violenza sessuale. Con un obiettivo chiaro: minare la credibilità delle sopravvissute, attingendo al repertorio culturale sempre in auge secondo cui “se è successo, in fondo lo voleva anche lei”. In barba alla legislazione europea e nazionale.

«È vietata per legge nella violenza sulle donne l’inversione della responsabilità dall’autore alla vittima, cioè la vittimizzazione secondaria». Paola Di Nicola Travaglini, giudice, consigliera di Cassazione, ha un’esperienza decennale sul tema.

Che cos’è la vittimizzazione secondaria, un’accusa politica che Elly Schlein ha lanciato contro Ignazio La Russa o una abitudine contro cui voi giudici dovete spesso fare iconti?

«Non entro nel dibattito politico, mi mantengo in un ambito giuridico-istituzionale. Sono dieci anni che mi occupo di vittimizzazione secondaria e pregiudizi giudiziari. È un fenomeno mondiale che riguarda le donne vittime di violenza che denunciano e, solo per questo, sono accusate dal contesto sociale – media, social – e istituzionale di essere responsabili del delitto subito. Si sviluppa in modo automatico, invisibile e strutturale».

Perché?

«Perché è legata al pregiudizio culturale in base al quale le donne mentono e comunque se la sono cercata. Un pregiudizio che, voglio sottolinearlo, riguarda anche i femminicidi e tutte le forme di violenza contro le donne».

È un retaggio culturale maschilista e patriarcale?

«È un retaggio culturale di cui le convenzioni internazionali si fanno carico. Tanto che l’articolo 18 della Convenzione di Istanbul e la Direttiva vittime del 2012 della Ue, per noi a contenuto obbligatorio (essendo recepita con leggi dello Stato), la vieta a tutte le istituzioni e in tutti gli ambiti».

In pratica a uno Stato si dice: è fatto divieto di vittimizzazione secondaria? Tradotto in modo più semplice, cosa è vietato fare per non colpevolizzare la donna che denuncia una violenza, al di là dell’accertamento dei fatti?

«È vietato accusare la donna di essere responsabile del reato che denuncia. L’Italia è stata condannata in due occasioni: con la sentenza del 2021 della Corte europea dei diritti umani e con sentenza del 2022 del Comitato delle Nazioni Unite per utilizzo di pregiudizio giudiziario e vittimizzazione secondaria da parte dei giudici in base a “miti preconcetti piuttosto che su fatti”».

È quindi un comportamento diffuso?

«Proprio il collegamento con le ragioni culturali per cui le donne che denunciano, ripeto, sono bugiarde, presentano denunce strumentali, se la sono cercata, hanno esagerato, fa sì che 9 donne su dieci non denuncino, con una perdita di fiducia nelle istituzioni. Stiamo parlando di violenza domestica, sessuale, di atti persecutori».

Qualche esempio?

«A una vittima di rapina si crede, nessuno indagherà su come era vestita, se stava passando da un bancomat e perché proprio a quell’ora, e come mai era da sola. Sono invece queste le domande che si sente rivolgere una donna vittima di qualsiasi forma di violenza. A cominciare da quella su “come mai non ha denunciato prima”. Attenzione, così spostiamo il focus».

Però molta acqua è passata sotto i ponti. C’è stato il #metoo, il codice rosso contro la violenza.

«Le leggi ci sono e sono efficaci e molto avanzate. Il problema è la loro attuazione da parte dei soggetti istituzionali che non hanno una formazione adeguata. Esemplifico. Una donna denuncia che il marito l’ha picchiata e, alla richiesta del poliziotto o del magistrato di spiegare il perché, risponde: perché ho fatto tardi al lavoro. Se la sua denuncia viene classificata come “lite familiare”, vuol dire che chi la raccoglie non vede, gli sfugge che sono stati violati i diritti di autonomia, libertà e non discriminazione delle donne e perciò è portato a ridimensionare. È essenziale e prioritario formare i magistrati e l’intera filiera istituzionale che si occupa di violenza contro le donne. E vanno fatti corsi obbligatori nelle scuole sul rispetto della dignità delle donne»

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